Tratto dagli scritti di Ramesh Balsekar
Chuang Tzu, uno dei piĆ¹ espressivi maestri taoisti, dice: “La conoscenza degli antichi era perfetta, cosƬ perfetta che non sapevano dell’esistenza delle cose”. Non si puĆ² aggiungere niente a questa frase. “Poi seppero dell’esistenza delle cose, ma non facevano distinzioni tra di esse”. Non facevano confronti. “Poi fecero distinzioni ma non esprimevano giudizi. Quando iniziarono a esprimere giudizi, il Tao andĆ² perduto”.
“La conoscenza degli antichi era perfetta, cosƬ perfetta che non sapevano dell’esistenza delle cose”
Questa ĆØ la conoscenza che abbiamo quando sediamo quietamente, chiudiamo gli occhi e rimaniamo tranquilli senza scopi, senza obiettivi. Il piĆ¹ delle volte accade da sĆ©, e in quei momenti c’ĆØ la conoscenza perfetta di cui parla Chuang Tzu. C’ĆØ un senso di consapevolezza in cui non esistono oggetti, e non esistendo oggetti non si pone il problema di fare paragoni o giudizi. L’unica cosa esistente in questa pace ĆØ un cuore aperto. Solo quando la mente ĆØ tranquilla, quando non concettualizza, quando non crea immagini e il cuore ĆØ aperto e ricettivo, solo allora accade qualcosa: l’io scompare e subentra l’Io, la RealtĆ Soggettiva. L’unica cosa da fare, quando arriva il momento, ĆØ sedere tranquillamente senza scopi, senza obiettivi, senza desiderare niente. Non occorre avere un obiettivo, cioĆØ non occorre avere nessuna aspettativa. In quei momenti non sei tu che trovi la RealtĆ , ma ĆØ la RealtĆ che trova te.
Questa meditazione non rafforza l’io?
Se ĆØ fondata sull’intenzionalitĆ , se c’ĆØ un “io” che medita, allora sƬ, ma quando la meditazione accade, quando non ĆØ perseguita volontariamente, allora ĆØ vera meditazione, in cui l’io ĆØ assente. Non c’ĆØ nessun io che medita. Se c’ĆØ l’io, c’ĆØ l’aspettativa che la meditazione fruttifichi in qualche modo.
Non c’ĆØ accettato nĆ© accettante, ma solo accettare?
C’ĆØ accettazione. L’accettazione, cioĆØ la comprensione di cui parlo, ĆØ accettazione senza un soggetto che accetta, ĆØ comprensione senza un soggetto che comprende. Quindi questa accettazione puĆ² soltanto prodursi, puĆ² soltanto avvenire. Non puoi ottenere l’accettazione, come non puoi ottenere la comprensione.
Si deve accettare la sofferenza?
Certo. Proprio perchĆ© non la accettiamo, ci poniamo la domanda: “PerchĆ© proprio a me?”. Ma se vincessi un milione di dollari alla lotteria, non ti verrebbe da chiederti: “PerchĆ© proprio io?”.
L’unica risposta alla domanda “PerchĆ© proprio a me?” ĆØ “PerchĆ© no?”. Nessun “io” ĆØ piĆ¹ speciale degli altri. L’essere umano ĆØ una semplice parte della totalitĆ della manifestazione. PiĆ¹ l’accettazione si espande e piĆ¹ la vita diventa semplice. Il dolore diventa piĆ¹ sopportabile se smettiamo di considerarlo qualcosa da rifiutare, qualcosa a cui mettere fine.