Da “L’anima e il suo destino” di Vito Mancuso
La salvezza dell’anima
Da che cosa deve essere salvata l’anima? È questa la domanda che guida il capitolo. Se la salvezza, come abbiamo visto all’inizio, non può che essere dal peccato, occorre chiedersi quale peccato. Non il peccato originale, inteso come macchia colpevolizzante nell’anima di chi viene fatto nascere in uno stato di inimicizia con il suo creatore, quanto piuttosto il “peccato del mondo” di cui parla il Quarto Vangelo. Che cos’è questo peccato del mondo? Un trucco della teologia per riprendersi con una mano ciò che aveva appena restituito con l’altra alla bontà della natura? Un peccato originale sotto falso nome? Un altro dei numerosi tradimenti contro la fedeltà alla terra?
Io penso che il peccato del mondo sia la cifra che interpreta al meglio la condizione originaria della libertà. Ogni uomo che viene al mondo nasce innocente, è vero, ma questo non significa che nasca libero. Platone ci ha raffigurati tutti originariamente prigionieri in una caverna, e poi non c’è neppure bisogno dell’intelligenza di Platone, basta accendere la TV, basta fare due passi in città, basta esercitare anche solo un minimo di disincanto critico, per rendersi conto della schiavitù in cui vive la gran parte degli uomini. L’energia che costituisce l’anima, cioè la libertà, ha un enorme bisogno, di essere curata, educata, diretta, disciplinata, a volte anche potata. L’entropia con la sua tendenza al disordine agisce anche dentro di noi. Il peccato del mondo esprime questa originaria noncuranza verso il bene e la giustizia, l’egoismo fondamentale e puerile di chi riporta sempre tutto e sé, proprio come i bambini che non possono guardare o leggere nulla senza identificarsi, senza dire “io sono questo, io sono quello”, senza ripetere in continuazione “io, io, io. Proprio come i bambini, gli uomini sono attratti per lo più dal nuovo, dal meraviglioso, da ciò che brilla di più e fa più rumore, e pensano tutto in funzione di se stessi. Come ogni altro fenomeno del mondo fisico sottoposto alla forza di gravità, anche la libertà lo è, anch’essa attrae o viene attratta a seconda che incontri altre libertà di minore o maggiore massa. Non c’è nulla di morale a questo livello, il bene e il male non c’entrano, si tratta essenzialmente di un disordine che concerne la fisica.
Da che cosa dobbiamo essere salvati? Non dal Diavolo, non dal mondo, non dal peccato originale, non dall’ira di Dio; la salvezza è da noi stessi, dalla vita disordinata (nel senso di sottoposta all’entropia) che possiamo condurre, dalla permanente infantile tentazione di fare di noi stessi il centro del mondo, l’immatura condizione dell’anima che dice sempre e solo “io” e che si traduce nell’equazione Io=Io. Il senso ultimo del Cristianesimo sta nella rivelazione della dignità divina che ci abita, in ciò che i padri della Chiesa chiamavano theiosis, divinizzazione, e che ci porta a quest’altra equazione: Io=Dio. Vale a dire io appartengo al Principio ordinatore, sono uscito dalla prigione dell’egoismo primordiale, vivo per un’idea più grande di me, l’Idea del bene. Ho trovato la perla preziosa, la stella giusta attorno a cui gravitare.
Da che cosa dobbiamo essere salvati? Da nulla di esterno a noi. La salvezza redenzione non va intesa come liberazione da qualcosa, ma come comunicazione di qualcosa. Tutto si compie nella profondità della nostra anima, di cui Cristo è la grammatica fondamentale. Come scriveva nel carcere nazista Dietrich Bonhoeffer, si tratta di riuscire a “salvare e preservare la nostra anima dal caos.
Vito Mancuso, scrittore e teologo